Imparare ad accogliere, Cinzia Pedrani

Imparare ad accogliere.

Scorrazzando su e giù per Phuket in sella ad un motorino.

Ho trascorso il mese di luglio in Thailandia, sull’isola di Phuket.

È stato un mese intenso, foriero di qualche nuova consapevolezza e tante riflessioni su temi a me cari. L’accoglienza, per esempio.

La Thailandia è tante cose e non ho certo la presunzione di aver visto, né tanto meno compreso, un popolo con uno stile di vita, una storia, una fede tanto diversa dalla mia.

Ma qualcosa ho capito durante il mio soggiorno a Phuket.

Qualcosa ho percepito nel mio scorrazzare su e giù, in motorino, per l’isola (con guida a sinistra, tra l’altro).

Qualcosa di diverso, di nuovo per me, di estremamente affascinante ed importante.

Due cose in particolare, che in realtà sono una. Provo a descrivertele.

Si può vivere senza essere sempre in modalità allerta.

Ci sono alcune dinamiche, alcuni meccanismi automatici, che lavorano dentro di noi, dei quali noi siamo solo in parte consapevoli. A volte per nulla.

Uno di questi è sicuramente il vivere sempre “sulla difensiva”, sempre in allerta, come se potesse succederci qualcosa (di brutto) da un momento all’altro.

È normale per noi italiani chiudere casa, magari inserire l’allarme, chiudere l’auto, la moto, la bici, guardarsi le spalle in metropolitana, fare attenzione al portafogli … e tante altre cose.

Sono prassi normali delle quali quasi non ci rendiamo nemmeno più conto ma che ci costano tanta energia.

Sono un fardello che ci portiamo appresso, uno zaino pesante con il quale ci alziamo ogni mattina ed affrontiamo le nostre giornate.

In Thailandia, per quel che ho potuto costatare, questo zaino non ti serve. Lo puoi lasciare a casa.

Dopo qualche giorno di permanenza, mi sono resa conto di essere più leggera, più libera, più in armonia con tutto quello che mi circondava.

Non serve chiudere casa, chiudere il motorino, non serve custodire la borsa sulla spiaggia, non serve diffidare dell’altro, temerlo.

Non serve tutto questo: puoi lasciare andare lo zaino dell’allerta, con tutto il suo peso.

E tu non sai quanto ben-essere questo mi ha regalato.

La cosa mi ha stupito non poco, te lo assicuro.

Perché non mi ero mai resa conto di quanto questo zaino pesasse nelle mie giornate.

Ti dirò di più: ero certa che non pesasse nulla, che fosse “normale” e come tale a costo zero.

Che sciocca!

Mi è venuto in mente quando avevo i miei figli piccoli.

Li ho allattati tutti tantissimo e, soprattutto l’ultimo, ha dormito con me e “mangiato” la notte fin quasi i due anni. Era diventato normale, non mi pesava. Così pensavo.

Quando poi ha smesso di farlo, di magiare la notte, mi sono accorta di quanto in realtà mi pesasse, mi costasse in termini di riposo, di energia.

Ecco, questo primo aspetto del mio viaggio in Thailandia è un po’ la stessa cosa.

Lo zaino dell’allerta è davvero pesante, è ingombrante, energeticamente impegnativo da portare, ma te ne accorgi solo quando lo lasci a terra.

Ed è un’esperienza bellissima: quando te lo togli prendi il volo e, andando su, proprio come una mongolfiera che ha lasciato le zavorre a terra, ti rallegri perché vai nella tua dimensione che è la libertà. E stai bene.

Da qui la prima riflessione: la mia accoglienza è in grado di fare questo?

Quando accolgo qualcuno nella mia vita, nella mia casa, nel mio mondo, sono in grado di farlo sentire al sicuro al punto da permettergli di mollare, in maniera seppur inconsapevole, il suo stato di allerta?

l'accoglienza mi chiama, cinzia pedrani

Imparare ad accogliere è il destino che mi chiama, che ci chiama.

Si può vivere senza per forza temere, insultare e aggredire l’altro.

Quando mi hanno offerto un motorino per muovermi sull’isola ero molto perplessa. Pur avendo io, in Italia, una Vespa, non mi reputo una grande motociclista e poi lì il traffico è caotico e la guida è all’inglese! Temevo sinceramente di non farcela.

Ma la mia casa era a Rawai, lontana dalle spiagge, su una strada molto trafficata, priva di strisce pedonali, di marciapiedi, dove camminare a piedi sembrava molto più pericoloso dell’avventurarsi con un motorino.

Mi son quindi decisa.

Ho iniziato timidamente ma ho subito capito che c’era qualcosa di diverso in quel traffico rumoroso e, apparentemente caotico.

C’era accoglienza, c’era tolleranza, c’era pazienza.

Nessuno insulta chi si muove più lentamente, nessuno aggredisce chi si ferma o magari non riparte al volo, nessuno prevarica. Nessuno è contro l’altro.

Nonostante la guida sia molto “libera” in realtà non c’è la volontà, l’intenzione, di aggredire l’altro, di umiliarlo.

C’è accettazione. Sempre e comunque. C’è unione.

Ed è stata una scoperta rassicurante che mi ha procurato una bellissima e nuova sensazione. Ero sola ma, allo stesso tempo, parte di un gruppo, di una comunità.

E questa è la seconda riflessione che voglio lasciarti oggi.

La mia accoglienza parte da un desiderio sincero di unione con l’altro?

Parte da un atto d’amore?

Sì, perché di amore si tratta: cos’altro è il desiderio di essere uno con l’altro se non amore? E non è amore anche il far sentire al sicuro l’altro? Farlo sentire accolto nella sua interezza, con i suoi limiti, le sue difficoltà?

Come vedi quello che ho sperimentato vivendo l’accoglienza thailandese son due “piccole cose” che potrebbero anche sembrare due banalità che forse molte persone nemmeno colgono, ma ti assicuro che non lo sono affatto.

Questo sentirmi “al sicuro”, il poter mollare lo stato d’allerta, sentirmi “in unione” con l’altro, tutto questo ha cambiato la qualità delle mie giornate, ha dato un grande valore aggiunto al mio viaggio.

Queste due “piccole cose” mi hanno arricchita profondamente e, confesso, conquistata: questa è la strada che voglio percorrere, questo è il mondo che voglio aiutare a creare.

Possiamo e dobbiamo imparare ad accogliere.

il motorino, la logica dell'accoglienza, cinzia pedrani

Imparare ad accogliere è, in un certo senso, un atto rivoluzionario, un impegno a rovesciare tutte le modalità automatiche che orientano la nostra vita verso la separazione, la guerra, la difesa, la diffidenza, la chiusura, l’isolamento.

Imparare ad accogliere è il destino che mi chiama, che ci chiama. Lo senti anche tu?


[Nella newsletter di settembre Metamorfosi racconto come questa esperienza thailandese e le nuove consapevolezze acquisite mi abbiamo aiutato, praticamente, nel mio agosto impegnativo! Se vuoi puoi leggerla ora su questa pagina].

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